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mercoledì 13 dicembre 2017

Street food tutto italiano. Da nord a sud: panissa, panelle e crocchè

Le feste hanno radici lontane e prendono significato, valore e sapore in buona parte dal comportamento alimentare.
A ben riflettere infatti non è un caso che i cibi legati alle feste, e i rituali che li accompagnano, siano entrati a far parte del patrimonio gastronomico italiano. Il sentimento che li ha generati, quel sentire forte la festa, si è trasformato in una sorta di malinconia che rende ancora attuale, e necessario, il loro essere presente sulle nostre tavole.
Oggi è Santa Lucia - protettrice degli occhi - nativa di Siracusa (vedremo infatti come la tradizione si è ben sviluppata in sicilia) il cui culto e la notorietà si sono espanse velocemente anche in aree come l'America Latina, l'Africa e l'America del Nord. Reliquie della Santa sono presenti anche a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Lisbona, Nantes. Inoltre la tradizione di festeggiare Santa Lucia è molto diffusa anche nel Nord Europa, dove la sua festività preannuncia l'arrivo dei mesi di luce. 
In tutta la Sicilia il 13 dicembre non si mangia pane, ma in segno di penitenza soltanto legumi e verdure. Questa tradizione pare sia nata in memoria di una carestia che afflisse la Sicilia nel XVIII secolo e che finì proprio grazie all'intervento miracoloso della martire che convogliò sull'isola una flotta di navi cariche di frumento. A Leonforte, in provincia di Enna (ma oramai è usanza quasi ovunque sull'isola), in ricordo dell'avvenimento, dopo la messa, si mangia la cuccìa un dolce (forse di origine araba) dalla lunga preparazione, composta da grani di frumento cotti a lungo nell'acqua e conditi con ricotta, zucca, cannella, cioccolata in pezzi, zucchero e vin cotto. Un tipico dolce sacrale, di cui è uso mangiare tutto tanto che perfino le briciole non devono andare disperse, e si offrono agli uccellini perché il loro destino sia protetto. In realtà anticamente la devozione alla santa si manifestava mangiando, durante la sua festa, esclusivamente la cuccìa. (3.a persona singolare di “cucciàri”  che significa piluccare derivato da “cuocci” i granelli, briciole). Il nome Cuccia che si fa risalire al gre­co kykeó, miscela o bevanda a base di farina cui si aggiungevano formaggio, miele o vino indica la versione dolce.) Ecco perché di norma il frumento ci cuoceva con il sale e vi si aggiungevano i ceci, e si condiva il tutto con ricotta salata grattugiata e olio. La versione dolce di questo piatto è nata soltanto in un secondo momento.Tale uso non e’ che sia strettamente siciliano, lo troviamo un po’ dovunque nelle regioni meridionali (Calabria, Puglia, Basilicata e Sardegna compresa) basti pensare alla “pastiera”
Altro ingrediente principe della festa è il riso, che viene presentato sotto la classica versione delle arancine o sotto forme di minestre condite con gli sparaccieddi, i nostri broccoletti, o nel sontuoso riso alla palermitana, ricco timballo condito con melanzane. Insomma il riso sostituiva per l'intera giornata la pasta, e ogni sua variante, dolce o salata, era la benvenuta.
C'è poi la credenza che a chi si astiene dal mangiare cibi a base di farina la Santa conserverà per sempre la vista, così come quella che vuole che nutrendosi solo di verdure e senza pane, si potrà avere un'illuminazione sul nome e volto della futura sposa o dello sposo.
Il culto della santa si è diffuso nel Medioevo in tutta Italia dando vita ad altre credenze e usanze.L'antico patronato di santa Lucia sul solstizio, un momento magico perché segna la rinascita simbolica del sole, l'ha infine trasformata in una dispensatrice di doni per il nuovo anno in alcune zone dell'Italia nord-orientale. In alcuni paesi del Bellunese, del Trevigiano e del Veronese i bimbi preparano nella stanza dove dormono un piatto con fieno e semola per l'asinello, carico di doni, che accompagna Lucia nel suo giro per le valli. I genitori fanno loro un'unica raccomandazione: di addormentarsi presto e di chiudere bene gli occhi perché altrimenti la santa li accecherà gettando loro cenere. In Valsugana, invece, i ragazzi mettono sulle finestre piatti o scodelle con la crusca per l'asinello, aspettando i doni di Lucia, la quale punisce i più capricciosi lasciando loro, a guisa di ammonimento, una frusta. Nel Bergamasco fino a qualche decennio fa era usanza regalarsi dei dolci speciali, i badì dè dama, zuccherini grandi come una moneta e infiocchettati, che venivano poi legati ai due capi dei lacci delle scarpe depositate sul davanzale della cucina insieme con il fieno per l'asinello. E così via con tante altre tradizioni sparse per tutto lo stivale. Nella mia città ad esempio è anche protettrice dei fidanzati pertanto si usa regalare torre o mandorlato alla propria ragazza/fidanzata.
Ma veniamo ai piatti a cui mi sono dedicata e partiamo dalle PANELLE  e CROCCHE'  per poi arrivare alla PANISSA
Tipiche di santa Lucia sono anche le panelle. Pitrè, il grande folclorista siciliano, così le descrive “I venditori di panelle parano le loro botteghe a festa con panelle ben grosse pendenti attorno all'uscio o distese sopra bianche tovaglie. Sono le panelle come una pattona di farina di ceci; ricevono varie forme e il nome di pisci-panelli perché ab antico hanno la figura di pesci”.
Tipiche della cucina di strada palermitana, sono una ricetta antichissima, un cibo popolare presto apprezzato anche dai nobili del Regno delle Due Sicilie.
La storia delle Panelle si perde dunque nei secoli. In Occidente i ceci erano largamente usati in cucina già dai greci e in epoca romana, quando venivano cucinate come polenta, impastate con l’acqua. Si pensa che furono gli arabi, durante il periodo in cui dominavano la Sicilia (dal IX al XI secolo), a portare sull'isola un metodo per macinare i semi dei ceci per ricavarne una farina che veniva quindi mescolata con l’acqua e cotta sul fuoco in porzioni di piccole dimensioni prima di essere gustata. Forse queste prime Panelle vennero cotte dentro i tipici forni verticali che venivano usati all'epoca per cuocere il pane e solo durante il Tardo Medioevo, probabilmente sotto la dominazione francese, iniziano ad essere fritte poiché la dinastia Angioina pare ne fosse particolarmente ghiotta. Al di là delle origini e dei dubbi che ci offre la storia, è comunque nella città di Palermo che nacque la prima Panella moderna come cibo popolare. Ben presto però esse iniziano ad essere apprezzate anche dai nobili e dalla stessa Casa Reale Borbone, che regnava sul Regno delle due Sicilie.
Il Panellaro, in passato, guidava per le strade della città un carretto fornito di un fornello e una casseruola colma d’olio; oggi le Panelle si trovano ancora nei carretti mobili e nelle friggitorie a Palermo e in tutta la Sicilia.
Gli estimatori  preferiscono cospargere questi “croccanti  fazzoletti bollenti” di succo di limone spremuto “a vivo” .
Le panelle insieme alle “crocchè”  sono l’emblema della sicilianità. Un buon panino con le panelle e crocchè è il miglior spuntino da strada che si può gustare a Palermo, in grado di oscurare qualsiasi  “fast food” perché alla velocità del pasto unisce un sapore unico ed inconfondibile impossibile da trovare altrove.

CROCCHE' SICILIANE



 crocchè o cazzilli (per la loro forma “fallica” ebbene anche se fa sorridere è proprio così) si ottengono, dalla purea di patate bollite , cui si aggiunge prezzemolo o mentuccia, sale e pepe. Con le mani umide si formano delle “crocchette” della lunghezza di circa 5/6 cm che si friggono in abbondante olio di semi fino a quando non risulteranno ambrate.



PANELLE AL FORNO (versione light)

panelle al limone (le mie preferite) e crocchè in uno stand di street food siciliano
INGREDIENTI
(dosi per 3 persone)
200 g di farina di ceci
sale e pepe q.b.
2 bicchieri di acqua
prezzemolo fresco q.b. 
olio evo
Mettere l’acqua in una terrina, poi versate la farina di ceci a pioggia e con una frusta mescolate fino ad ottenere una pastella liquida ed omogenea, senza grumi.
Aggiungere sale,pepe e prezzemolo tritato e mescolare ancora, poi coprire il contenitore con un panno asciutto e lasciar riposare l’impasto per dai 15-20 ai 30 minuti circa.
Nel frattempo preriscaldare il forno a 200 gradi e, quando arriva a temperatura, versare la pastella liquida di ceci in una teglia larga ben oliata (non vi spaventate se la vedete molto liquida: servirà a renderla morbida dopo la cottura!), con l’aiuto di una spatola distribuite uniformemente l’impasto (deve essere molto basso, perché le panelle devono risultare sottili) e infornare per circa 25-30 minuti.
Quando la superficie dell’impasto sarà ben cotta e dorata toglliere dal forno e lasciar riposare qualche minuto, poi con una paletta tagliare la panella in tanti rettangoli e servire magari con una spruzzata di limone a vivo.
Verrà fuori una panella leggera e delicata, morbida dentro e croccante fuori: potete mangiarla così, oppure accompagnarla con verdure o altro!



PANISSA LIGURE (anche light)

Un pasto simile alla panella palermitana è la "fetta" savonese, che, a differenze della panella, viene tipicamente servita in mezzo a panini bianchi senza crosta, rotondi, piatti chiamati "focaccette"

“ Rifocilla molte persone al posto del pane “ dice un autore del tardo duecento riferendosi all'abbondanza di castagne,fagioli e panico. Proprio da quest'ultimo il “ panico “ , che si diffuse soprattutto nel nord Italia , prese il nome il panicium da cui derivano tutti i nome che ancora conosciamo come: panizza , panissa, paniscia , panicia , paniccia. Ben presto si sostituisce al panico il cece ,il frumento , l'orzo , il granoturco, molto più gustosi e morbidi al palato. Ma il nome resta anche se in ogni regione del Nord assume caratteristiche diverse. Così si va dalla panicia dell'Alto Adige con stinco di maiale , verdure e orzo ; alla paniscia del comasco con granoturco, burro e formaggio , per passare alla Liguria dove per prima però nasce la farinata. 
La leggenda narra che durante la battaglia della Meloria , nella stiva di un galeone genovese per un colpo di cannone, entrò acqua nella stiva bagnando il carico di farina di ceci. Questa poltiglia fu usata per sfamare i prigionieri , ma fu assaggiata anche dai genovesi, che trovandola gradevole la fecero diventare uno dei loro piatti preferiti. 
Più tardi come dicevamo nasce la panissa, inizialmente chiamata “ maniccia “ o nel ponente “ tavelle “ la nota polentina di farina di ceci condita con olio extra vergine, cipolla e aglio . 
Pittoresca la descrizione che ne fa il poeta Richero che dice: " La paniccia è buona in tutti i modi è un boccone da prete goloso non c'è niente , né pietanze, né primi che se ne possa dire tanto lo stesso che tu abbia fame o che tu non ne abbia niente ci sta sempre una scodella di paniccia." ahahahaha direi che ha reso bene l'idea ;)

Il vocabolo, al pari di panigaccio, origina da “panìco”, un cereale poverissimo, affine al miglio. La panissa era un piatto quaresimale, molto duttile come tutte le “polentine” appunto simile alle panelle palermitane. Anche questa prelibatezza culinaria la si trovava nelle antiche “Sciamadde” locali storici in cui veniva cucinata e servita la farinata insieme alle tipiche torte salate liguri. Tipico street food ligure.

INGREDIENTI: 
(dosi per circa 6 persone)
300 g di farina di ceci
1 l scarso d’acqua tiepida
olio evo
sale e pepe qb

In un’ampia casseruola antiaderente lavorare con una frusta la farina e l’acqua tiepida, lentamente, senza pause, in modo da sciogliere la farina e non creare grumosità specialmente lungo i bordi (se occorre, “filtrare” il composto). 
Aggiustare di sale e far riposare, coperto, un paio d’ore o più. 
Cuocere questa “polentina” circa un’ora a fiamma bassa esempre mescolando affinché non s’attacchi. Infine versarla in un vassoio unto d’olio o su piatto bagnato. Raffreddata, non in frigo, si può tagliare a cubetti e condirla subito con olio, pepe nero e cipollotto fresco tagliato fine, o anche con biete stufate. 
Oppure si può tagliarla a fiammiferi – ecco le panissette - e friggerla in abbondante olio bollente (ottimo anche quello di arachidi), nel qual caso poi è preferibile abbinare un bel bianco frizzante! 

NOTAGUSTO: la mia proposta light è di cuocerla nel forno invece che friggerla.

mi scuso per la foto, ma non sono riuscita a fare di meglio causa voracità commensali !!!


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